La serie pittorica di Luvit definita “Microcosmo” si propone di indagare in quel mondo intermedio, molto spesso trascurato dalla nostra logica occidentale, che occupa lo spazio tra i concetti opposti come il grande ed il piccolo, l’affermazione e la negazione, il maschile e il femminile, la luce e le tenebre, la vita e la morte, il conscio e l’inconscio e così di seguito.
“Microcosmo” perché gli spazi infiniti tra il rigore concettuale delle opposizioni che così assumono la forza della certezza, quasi sempre vengono ignorati a favore delle stesse dicotomie; questi spazi, se percorsi liberati dal pregiudizio, ci rivelano una “Terza Cosa” che rappresenta le strutture soggiacenti che legano insieme tra musica e poesia tutta l’Umanità imponendo il concetto di Uno nel Tutto e di Tutto nell’Uno.
“Microcosmo” per simboleggiare la minuziosità dell’indagine e l’inesauribile disponibilità di percorsi, a prima vista invisibili, che il viaggio nella Terza Cosa ci svela. Minuziosità come ricupero dell’elasticità mentale per generazioni condizionate da una cultura sempre più massificante in cui l’informazione usa e getta preclude l’indagine capillare e con essa le Realtà sommerse.
Appare evidente che l’Uomo resti al centro di questa indagine senza mettere in discussione l’idea della realtà per come gli appare: proviene dal finito (il passato) e si proietta verso l’infinito (il futuro) molto spesso come semplice spettatore seduto nel teatro della retorica dell’esistenza, pur disponendo della coscienza dell’esistere e delle curiosità culturali, veicoli insostituibili per il viaggio nei mondi intermedi.
Il cromatismo e le forme non formali sono il linguaggio che Luvit predilige per la sua ricerca: il linguaggio cromatico e i labirinti del segno vogliono svelarci le molteplici percorrenze possibili per cogliere le relazioni tra il buio e la luce, la vita e la morte, l’animus e l’anima, tra la pura percezione e la poetica universale prigioniere nell’inconscio; il conseguente ermafrodito indefinito ma definibile, testimone imperituro del Caos primordiale a conferma dell’Ordine persino riscontrabile nell’entropia, identifica ed impone la valenza dell’intermedio quale irrinunciabile percorso verso l’Uno e quale innegabile immanenza del Tutto
Il nostro vissuto non è mai ripetitivo, le esperienze non sono sovrapponibili anche se nell’apparente monotonia del quotidiano ripercorriamo all’infinito gli stessi sentieri tracciati dai ritmi e dalle scansioni dell’attimo.
L’alternarsi delle ciclicità tra empatie e sistemismi più o meno pianificati ed organizzati, le prime alimentate dalle pulsioni emotive, finestra sull’inconscio arricchito anche dai memi riscontrabili nel genoma, i secondi elaborati e riordinati dalle sovrastrutture dei contesti socio-economico-culturali in cui viviamo e di cui ci alimentiamo, ci condiziona in una dicotomia progressivamente sempre più coercitiva, nella quale risulta preclusa la possibilità di analizzare i ritmi ed indagare nelle scansioni del quotidiano per accorgerci delle infinite variabili che anche l’attimo ci offre.
Kandinsky si impegnò con tutte le sue forze per trovare il modo e le tecniche per attrarre lo spettatore dentro l’opera stessa e ne diventasse parte dopo averla percorsa in ogni sua parte.
I microcosmi, nella loro visione d’assieme, ci restituiscono una rappresentazione quasi labirintica che simboleggia la somma dei nostri quotidiani, ma quasi necessità misteriosa, invita lo spettatore ad entrare nel quadro alla ricerca ed alla scoperta delle infinite variabili di cui il vissuto è portatore, prendere coscienza e riconoscersi in esso per liberarsi della tenaglia delle dicotomie e ricuperare le consonanze per il domani.
I colori e le sue vibrazioni influenzano l’anima, i colori caldi ripercorrono le pulsioni empatiche mentre i colori freddi simboleggiano le organizzazioni sistemiche della vita di ognuno, l’invito ad entrare nell’opera è quasi irrinunciabile ed una volta immersi nell’infinito dei percorsi si acquisisce la coscienza che tutto il nostro vivere è intriso di attimi a cui non diamo importanza, ma che diventano i pilastri su cui tracciamo e percorriamo l’autostrada della nostra esistenza.
La visione d’assieme è il nostro vissuto, la visione ravvicinata i momenti della vita, le piccole dimensioni del quadro la particella vivente nell’immutabile ritmo dell’eterno simboleggiato dallo spazio nero circostante.
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