“LA PITTURA E’ UNA PROIEZIONE MENTALE” (Leonardo da Vinci)
La mente umana, ovvero i miliardi di neuroni che la determinano e che si sono evoluti e strutturati al servizio della specie, è anche espressione della creatività, delle fantasie e delle proiezioni immaginarie che si concretizzano nelle arti visive, nella musica, nella poesia, nell’estetica in generale.
Il mondo che ci circonda non è come ci appare, non risulta composto da quanti di energia, atomi, molecole e altre particelle che noi classifichiamo come oscure o luminose, calde o fredde, rosse o blu, stridenti o melodiose, ma di onde, vibrazioni e oscillazioni elettromagnetiche che noi riusciamo a captare solo in minima parte: tutto ciò che non riusciamo a percepire, perché non ci è utile, è come se non esistesse. Ogni specie durante i suoi processi evolutivi ha selezionato dall’habitat circostante,anche nelle sue modificazioni, quelle modalità percettive che risultavano più utili a conferire ai propri fenotipi la maggiore possibilità di riproducibilità e quindi di proiezione all’infinito della propria specie, salvo che questo dinamismo percettivo venga interrotto da modificazioni traumatiche dell’habitat, come avvenne per i dinosauri.
Le Neuroscienze e le tecnologie al suo servizio, hanno consentito di accertare che ogni struttura cerebrale si è biologicamente specializzata per eseguire uno o più compiti specifici, tutti derivanti dagli stimoli sensoriali precipui alla nostra specie.
L’apprezzamento estetico che è stato al centro delle curiosità di filosofi, da Platone a Kant solo per citarne i più coinvolti, che ancora oggi è nucleo aggregante del pensiero di critici e storici dell’arte, merita un approfondimento di indagine neuroscientifica per la conoscenza del motore della sua attività oltre che della sua esistenza. Capire cosa avviene nel nostro cervello quando siamo di fronte ad un’opera d’arte, capire le diversità dell’apprezzamento che ne derivano, ci porta ad approfondire le indagini verso i meccanismi della percezione, quindi del filtro sensoriale attraverso il quale percepiamo il mondo che ci circonda.
La risonanza magnetica funzionale ci pone di fronte alla visione diretta dell’attività cerebrale durante gli stati emozionali, del pensiero in genere ed in particolar modo le risposte ai vari stimoli che, nell’argomento in questione, si riferiscono a quelli che il soggetto riceve di fronte ad un’opera d’arte: ciascuno produce risposte, scientificamente apprezzabili ma dissimili. I ricordi, la capacità individuale di percepire il piacere, che è direttamente influenzata dalle componenti genetiche e culturali, condiziona le risposte strumentali alla base dell’indagine. Tuttavia questi studi ci dicono che molte aree si attivano in modo analogo in tutti gli esseri umani quando percepiscono identiche emozioni per cui capire la natura dell’apprezzamento estetico aiuta anche ad identificare meglio i meccanismi della percezione e le risposte che il nostro cervello produce agli stimoli che provengono dall’ambiente circostante.
Le emozioni, in senso lato, stimolano le regioni cerebrali che attivano le sensazioni di piacere e quindi di ricompensa. In ambito artistico i fattori esterni socio-culturali possono causare un’inibizione dei lobi frontali rendendoci meno imparziali nei nostri giudizi estetici conseguendone come un’opera esteticamente non valida, ma inserita in un contesto a noi noto come la conoscenza dell’autore, il valore raggiunto nelle sue quotazioni o quando è collocato nel patrimonio artistico universalmente riconosciuto, possa essere apprezzata e rivalutata esteticamente.
Il cervello è caratterizzato da aree cerebrali separate le une dalle altre consentendo, attraverso i sensi, la percezione di onde, vibrazioni e oscillazioni elettromagnetiche che trasformiamo in colori, movimenti, luci e suoni.
La sinestesia è la fusione in un’unica sfera sensoriale delle percezioni di sensi distinti. Anche se il cervello è caratterizzato da aree cerebrali separate le une dalle altre, ognuna atta a percepire differenti stimoli dai ricettori sensoriali, facendo percorrere vie percettive differenti, pur tuttavia, si verificano interazioni sinestetiche come, ad esempio, l’ascolto di suoni che provoca una percezione cromatica senza che vi sia lo stimolo opportuno. Queste sinestesie possono influenzare la creatività di un artista sovrapponendo agli oggetti realmente presenti nell’ambiente la percezione di colori, luci, suoni, forme diverse ed emozioni, incidendo, così, sul valore estetico di un’opera.
Se ci poniamo al di fuori dello spazio nel quale esercitiamo la percezione sensoriale, entriamo nel mondo della fantasia creativa, della concettualità e quindi dell’immaginazione. Le idee prodotte dalla creatività, lontane dalle influenze sensoriali, trasmesse attraverso le generazioni e condivise fra civiltà differenti, possono assumere un forte valore nello sviluppo culturale.
Associare la creatività alla sinestesia, segnalando una interconnessione fra la struttura fisica del cervello e la creatività e riconoscere rapporti specifici fra le aree del cervello e connessioni particolari che determinano la capacità di identificare nuove relazioni, comporta la presenza di cellule funzionali a congiungere percezioni e concetti anche remoti, prevalentemente presenti in alcune persone più creative. La predisposizione alla creatività assume un valore straordinario per artisti e, in generale, per ogni essere pensante. In ultima analisi, anche la creazione e la fruizione artistica si collocherebbero nel più generale contesto neodarwiniano rientrando, così, nel più vasto quadro della biologia evoluzionistica.
L’autorevole studiosa di psicobiologia evolutiva, Ellen Dissanayake, afferma che “le arti sono propensioni della natura umana frutto di evoluzione biologica: i tratti caratteristici che contraddistinguono l’espressione artistica hanno aiutato i nostri antenati preistorici ad adattarsi al loro ambiente e quindi a riprodursi con successo generazione dopo generazione”. Tale concetto è rafforzato dal neurobiologo inglese Christopher Smith quando dice che “secondo gli psicologi evoluzionisti, la maggior parte della storia umana è stata vissuta dalle società di cacciatori-raccoglitori del periodo paleolitico. Di conseguenza gli uomini odierni, se intervistati, manifestano una chiara preferenza per gli ambienti di tipo savana rispetto agli altri, e cioè ambienti in cui abbondino l’acqua, i grandi alberi, gli spazi semiaperti, le ondulazioni del paesaggio, le vedute degli orizzonti e una moderata complessità. […] altri elementi del paesaggio che si rivelano affascinanti in tutte le culture sono quelli che includono elementi di ‘mistero’…forse perché alimentano la nostra ancestrale ‘sete di conoscenza’…”. E gli psicobiologi Eckart Voland e Karl Grammer, nel loro libro Evolutionary aesthetics, aggiungono: “gli evoluzionisti ortodossi identificano il valore estetico con il valore adattativo e interpretano termini quali ‘bello’ o ‘buono’ come indicativi, semplicemente, di scelte e giudizi che in ambienti ancestrali tendevano a garantire un maggiore successo riproduttivo.”
“Avrebbero avuto, insomma, più possibilità di sopravvivere e riprodursi quelli tra i nostri antenati i cui geni associavano, per interposto sistema neuro-ormonale, le sensazioni di benessere, felicità e piacere alla percezione di immagini, suoni, colori e paesaggi in cui essi erano inseriti, e, ancor più, le associavano all’immagine dei loro simili, con cui anzi si era sviluppata la tendenza, anch’essa vantaggiosa, a condividere sensazioni, emozioni e sentimenti”.
Resta però da interpretare in una chiave di lettura biologico-evoluzionistica la caratteristica dell’arte di amplificare le emozioni e i sentimenti che si propone di trasmettere.
Edward Wilson, padre della sociobiologia, dice: “le arti non sono solo la creazione di un genio bizzarro a prescindere dal suo contesto storico e dalla sua personale esperienza. Le radici dell’ispirazione artistica conducono lontano, nella storia più remota, fino alle origini genetiche della mente umana, e sono permanenti.[…] Il ruolo esclusivo delle arti è la trasmissione degli intricati dettagli dell’esperienza umana mediante l’artifizio di intensificare la risposta estetica ed emotiva. Le opere d’arte comunicano i sentimenti direttamente da mente a mente, senza alcuna intenzione di spiegare il perché quell’impatto si verifichi.”
Questo immaginare le emozioni e i sentimenti estremi sarebbe stato anch’esso premiato dalla selezione. Il segreto dell’arte infatti, starebbe proprio in questo: nel saper evocare e al tempo stesso, mediante una perfetta padronanza della tecnica, comunicare in modo da condividerli, emozioni e sentimenti universali. L’artista insomma è l’artefice capace di far entrare in risonanza con sé stesso gli altri esseri umani toccando quei tasti che intuisce siano più sensibili facendo leva, seppur inconsciamente, su quel fondamento profondamente nascosto e comune a tutti gli uomini, fondamento che, evoluzionisticamente parlando, costituirebbe l’a priori per l’individuo ma l’a posteriori per la specie.
Abbiamo visto come necessiti anche una perfetta padronanza della tecnica; dalla fine del XX secolo il pionierismo informatico applicato all’arte, preconizzava una rapida alternativa alle tecniche tradizionali con la tecnologia informatica che, poi, dagli inizi del XXI secolo sta risultando sempre più acquisita, perfezionata e prerogativa di tanti artisti permettendo agli stessi di liberare maggiormente la loro creatività e di percorrere, anche a ritroso, evoluzionisticamente parlando, quei territori consolidati da emozioni e sentimenti universali ma con potenzialità espressive, solo fino a pochi anni addietro, inimmaginabili. Le grandi innovazioni tecnologiche, nell’arte, hanno sempre determinato uno spartiacque che da una parte ha relegato alla storia quanto fino ad allora conquistato ma dall’altra ha tracciato quei nuovi sentieri che, nell’immediato e nel prossimo futuro, rappresenteranno una nuova alba delle espressioni artistiche in senso lato.
La mano dell’artista, prolungamento della sua creatività, sta abbandonando il pennello di setole per sostituirlo con il mouse.