L’arte, recita il nostro dizionario, è la capacità, in senso lato, di agire e di produrre, basandosi su un particolare complesso sistema di regole e d’esperienze conoscitive e tecniche e quindi anche l’insieme delle regole e dei procedimenti per svolgere un’attività umana in vista di determinati risultati. Sono solo quattro lettere del nostro abecedario con il quale siamo abituati dall’avvento dell’alfabetizzazione a racchiudere concetti più o meno complessi o ricchi di connessioni interdisciplinari senza però chiarirne l’essenza pura che a mio intendere non sarà mai possibile alfabetizzare.
L’Arte in quanto attività umana viene spesso contrapposta alla natura o alla presunta opera di un Dio. Anche la natura, attraverso un complesso sistema di regole che poi sono la base delle varie fenomenologie, ha sempre rappresentato e continuerà a rappresentare l’arte.
Michelangelo Merisi da Caravaggio affermava che “il mestiere del pittore è un mestiere attraverso cui si genera vita, si suscitano impulsi vitali, si significano idee e concetti, si disvela la realtà”. Dopo oltre 400 anni questo concetto è ancora totalmente condivisibile?
In estetica, si tende a dare al termine arte un significato privilegiato per indicare un particolare prodotto culturale come la pittura, la scultura, l’architettura, la musica, la poesia ecc.
Quindi l’arte è rappresentazione in tutte le sue variabili forme. Ogni rappresentazione della creatività umana, se obbedisce al complesso sistema di regole e tecniche di cui dispone, diventa arte, ma non assume un valore assoluto in quanto condizionata dai parametri di mercato che dal baratto in poi impongono scale di valori, mai autentici, ma sempre condizionati alle logiche della domanda e dell’offerta.
In Francia, agli inizi del XIX secolo, l’espressione arte fu utilizzata, adottata soprattutto dai poeti della scuola parnassiana, per designare il principio che l’arte non deve avere altri fini che se stessa, al di fuori di ogni preoccupazione di carattere morale o utilitaristico. Si avvertiva, quindi l’esigenza di liberare il concetto dalle regole e dagli orpelli mercantili, per restituirlo ad una valenza pura.
Ogni essere vivente è formato da energia, ovvero un turbinio di elettroni, forse senza tempo, che si muovono attorno al nucleo d’appartenenza, senza porsi il quesito se per caso o per necessità, assumendo forme e colori in connesso rapporto con gli strumenti da loro stessi elaborati per la loro stessa percezione e delle altre galassie di elettroni che circondano la sorgente, senza porci in questa sede se questi processi infiniti siano reali o inesistenti. Tutto ciò che ci circonda e di cui abbiamo la percezione sensoriale è riconducibile all’inesauribile danza degli elettroni.
Siamo il limite di noi stessi ed il nostro immaginario non sfugge a questo limite. Anche il sogno, di cui ancora si sa pochissimo, si veste di forme e colori ripetendo all’infinito questo enigma.
Ciò premesso, come si pone il concetto di Arte?
Dai graffiti rupestri alle espressioni delle più accreditate tendenze dell’arte contemporanea, tutto il mondo dell’arte è passato attraverso la rappresentazione all’interno dei nostri limiti, mai nessuno è riuscito ad oltrepassarli. Mai nessuno è riuscito a cogliere l’essenza pura del concetto.
L’essenza pura dell’Arte è ricercabile unicamente nell’Immaginario aldilà della nostra capacità d’immaginare, mai nella sua rappresentazione in quanto la rappresentazione racchiude l’immaginario nei limiti di noi stessi. Secondo la teoria dell’indeterminazione della meccanica quantistica, rovesciando la teoria newtoniana che si basava sui concetti di massa e forza nonché sul valore assoluto delle determinazioni di spazio e tempo, rivendica l’influenza dei procedimenti di misura sui valori degli assunti considerati e l’indeterminazione delle grandezze tra loro collegate preferendo affidarsi a schemi di carattere probabilistico.
Quindi l’Immaginario, aldilà della nostra capacità d’immaginazione, assume quel carattere probabilistico che lo riveste di purezza.
L’Immaginario puro non potrà mai essere rappresentabile, non potrà mai essere definibile nell’illusione della realtà che ci circonda; l’Immaginario sfugge alla nostra stessa capacità di percepire e rappresentare, l’Immaginario non potrà mai essere ripetibile, vive di vita propria ed inizia ove finisce la nostra capacità d’immaginare e di rappresentare l’immaginabile.
Soltanto allora l’Arte potrà sublimarsi e diventare essenza pura, inattaccabile dagli orpelli e dalle farneticazioni dei così definiti “addetti culturali”.
Gli storici dell’arte fanno bene il loro mestiere: la classificazione storica del divenire delle rappresentazioni, le interazioni con lo spirito dei tempi del divenire sociale e con tutti gli altri siti culturali è sicuramente importante per la narrazione e la collocazione e l’importanza delle influenze che storicamente divengono classificabili ed enciclopedizzabili, ma l’essenza pura non è scrivibile come non è rappresentabile…ed allora?
Proviamo a disegnare una qualsiasi rappresentazione, sia riconoscibile che non, su un foglio di carta o un supporto qualsiasi: questa rappresentazione è formata da innumerevoli punti, consequenziali e non, di vari colori e non, da ognuno dei quali potrà partire una semiretta fino ad oltrepassare il limite del foglio ed invadere lo spazio circostante che risulta infinito e procedere verso l’inimmaginabile. Moltiplichiamo a nostro piacimento il numero di semirette sorgenti da ogni punto del disegno dirigendole ove maggiormente vogliamo proiettarle nell’infinito. Questo esercizio, quando l’interromperemo ci avrà dato una rappresentazione sul foglio di carta che possiamo elaborare, modificare, colorare a nostro piacimento ma sempre nel limite dello spazio definito dal supporto, lasciando agli storici dell’arte la valutazione mercantile o culturale della rappresentazione.
Le semirette che abbiamo lanciato nell’infinito, anche loro potrebbero potenzialmente essere rappresentabili nel limite di una loro porzione, basterebbe aumentare la dimensione del foglio di carta con la nostra immaginazione fino al punto dal quale non è più possibile rappresentarle in quanto valicano i nostri limiti ed i confini dello spazio definibile. Nel preciso istante in cui l’immaginario non è più rappresentabile, solo quando si superano i limiti si produce l’essenza pura, il segno sorgente posto sul foglio utilizza le semirette come autostrade su cui far correre l’energia iniziale, liberarla dalla rappresentazione lasciandola vivere autonomamente: l’Arte assume una vita propria, liberata dal segno, quindi dalla necessità della rappresentazione, ed interagendo con le altre energie pure al di fuori dei concetti di tempo e di spazio si offre incontaminabile alla poetica del mistero del Caso alimentato dal Caos.
L’Arte non è percepibile, lo è solo la rappresentazione; anche la pittura orfica è rappresentazione come la tela bianca che è essa stessa rappresentazione e la rappresentazione non potrà mai essere universale; la Gioconda lascia indifferenti gli aborigeni australiani, il campo di grano di Van Gogh non potrà mai essere vissuto da chi non ha mai attraversato il desiderio morboso del suicidio, le madonne di Michelangelo Merisi da Caravaggio , che assumono i volti delle modelle, vale a dire delle prostitute dei dintorni di piazza Navona, non potranno mai essere considerate nella loro vero significato se non ci si ribella allo strapotere dei potenti, a quel tempo rappresentato dalla chiesa con i suoi papi.
L’universalità si raggiunge fuori dalla rappresentazione.
Solo l’essenza pura sarà universale nella sua inconoscibilità!
Proviamo a descrivere il concetto comune di arte per un non vedente: egli avrà una raffigurazione del mondo circostante che si configurerà esclusivamente al rapporto percettivo che gli perverrà dagli altri organi sensoriali. Laddove l’oggetto raffigurabile sarà percepito nella sua totalità con gli organi sensoriali attivi potrà anche raffigurarsi nell’immaginario del non vedente una proiezione vicina alla presunzione di realtà dell’oggetto nelle sue valenze dimensionali e formali, mai alle scale cromatiche anche in relazione con lo spazio e, soprattutto, la luce circostante. Potrà percepire la forma e la dimensione del tronco di un albero attraverso il tatto, ma mai la sua chioma irraggiungibile agli altri organi sensoriali. Lo stesso concetto di spazio si proporziona alle capacità percettive del non vedente.
Ne deriva che il concetto d’arte comune tra i vedenti e i non vedenti risulta assai distante.
Proviamo ora a descrivere il concetto comune d’arte nell’immaginario di un non vedente: tutte le valenze legate a forme, dimensioni e colori vivranno di vita propria, svincolate dalle comparazioni raffigurative e liberate dai limiti imposti dall’handicap. Lo stesso avviene per le semirette dei vedenti dal momento in cui si proiettano oltre lo spazio definito dalla sorgente per vivere vita propria nell’immaginario del soggetto in esame.
La distanza tra i concetti d’arte comune tra i due poli si riduce notevolmente, accreditando comunque quella del non vedente di una maggiore spontaneità perché meno condizionata dalla raffigurazione.
Oltre gli spazi concessi all’immaginazione, il concetto di arte comune si esaurisce per dare origine all’idea dell’Arte come pura energia che non potrà mai differenziarsi in rapporto alle capacità percettive di ognuno.
L’Arte si universalizza nella sua purezza concettuale, quindi l’universalità si raggiunge fuori dalla rappresentazione.
Solo l’essenza pura, pur nel suo mondo della meccanica probabilistica, si potrà considerare patrimonio universale.
Lucio Vitale 1981